Un radicalismo alternativo - di Alessandro Melis
Le città italiane mostrano oggi i segni ambientali del fallimento che è il frutto di un patto scellerato tra i fautori del Moderno delle periferie e i sostenitori del Postmoderno storicista nei centri storici. Quando si leggono gli scritti di Bruno Zevi, si ha tuttavia la sensazione che una via alternativa sia possibile.
Zevi non fu l’unico a ipotizzare che una visione meno dogmatica e più organica dell’architettura avrebbe potuto contribuire alla costruzione di una città in cui tecnologia e natura avrebbero potuto convivere. L’esclusione a priori di questa ipotesi ha radici lontane ed ha a che fare con il consolidarsi di un modello speculativo dei lavori pubblici e privati, da una parte, con il protezionismo intellettuale esercitato dalle università, dall’altra. Infatti all’inizio degli anni ’60, rispondendo alle tendenze del dopoguerra, in molti presero posizione riguardo alla presunta sterilità del Moderno. Fino a quel momento gli eredi della Tendenza da una parte e i Radical dall’altra convissero sotto l’ombrello del Postmodernismo. Ma già nel decennio sucessivo la critica al Moderno si cristallizzò su posizioni apparentemente opposte ed inconciliabili.