Scritto da: Redazione
AR MAGAZINE - Rivista dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia
AR MAGAZINE è la nuova rivista semestrale dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia che trasforma la precedente esperienza di AR in un magazine monografico tematico. Si tratta di un nuovo percorso editoriale che vuole rilanciare la cultura e la professione a Roma e in Italia attraverso approfondimenti sulle principali attività di formazione dell’Ordine.
Una trasformazione che prevede la pubblicazione di sette volumi per il quadriennio 2018-2021 prodotti e realizzati da Architetti Roma edizioni, casa editrice dell’OAR.
AR MAGAZINE rappresenta un cambiamento di rotta che accompagna il tentativo di garantire contenuti di alto profilo scientifico valorizzando i grandi eventi, i percorsi culturali, i seminari dell’Ordine, dando la possibilità agli architetti romani e italiani di approfondire, grazie alla lettura di volumi tematici, argomenti utili per l’aggiornamento professionale e la riflessione sull’architettura contemporanea, per la critica e la storia dell’architettura.
AR MAGAZINE può essere letto da tutti gli architetti romani e italiani, in versione digitale, anche sulla homepage del portale web dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia.
Scritto da: Flavio Mangione
Bruno Zevi era un romano, uno degli intellettuali più lucidi e coraggiosi che l’intera cultura architettonica mondiale abbia conosciuto. Un “romano prima in America”, poi a Venezia e poi di nuovo a Roma.
Un furioso egocentrico di sapiente ironia, sfuggente ed eretico. La sua eresia era nel paradosso dell’emancipazione della diversità, nel culto del diverso che deve o vuole uscire dal ghetto. Ma uscendo da precisi confini, seppur coatti, c’è il rischio e l’avventura della contaminazione, della perdita di identità, della sfida del dialogo e la difficoltà di giungere a nuove sintesi.
In tutto questo troviamo la sua concezione di architettura, di città, di territorio, di civiltà. La sua storia dell’architettura, la sua critica al mondo parte dalla necessità di agire attraverso una severa e attenta analisi proprio di quei principi di identità che hanno dato carattere, senso e giustezza al fare architettonico nei secoli.
Scritto da: Marco Maria Sambo
Con AR MAGAZINE 120 tentiamo di analizzare il pensiero di Bruno Zevi attraverso un linguaggio aperto e multidisciplinare, studiando il suo contributo nella storia dell’architettura del ventesimo secolo. Vogliamo analizzare l’eredità culturale di Zevi, la sua attualità critica. Dal celebre libro Saper vedere l’architettura pubblicato da Einaudi nel 1948 fino al convegno di Modena del settembre 1997 intitolato “Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura”, l’azione culturale e operativa di Bruno Zevi risulta viva e multiforme nel corso della lunga attività di architetto, storico e critico militante. Le sue idee prefigurano scenari urbani e architettonici. Le sue riflessioni, ancora attuali, permettono di comprendere i linguaggi del contemporaneo e ci aiutano a ragionare sul nostro futuro. Partiamo dallo spazio. Il libro Saper vedere l’architettura ha un sottotitolo significativo: “Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura”.
Scritto da: Gabriele Niola
L’educazione spaziale delle masse.
Una delle intuizioni più affascinanti di Bruno Zevi, almeno per chi è innamorato dell’audiovisivo, è quella degli spazi architettonici come le scene in cui sono ambientate le nostre vite: in che modo cioè un interno (ma del resto anche un esterno) possa condizionare la lettura dei fatti che avvengono in esso. Il cinema lo sa benissimo, la cura con cui sono scelti oppure addirittura disegnati e costruiti i set è finalizzata proprio a questo, a quello che Zevi idealisticamente auspicava come una sorta di educazione spaziale delle masse, parlare cioè al pubblico tramite gli spazi, di fatto aumentando la consapevolezza del loro linguaggio.
Scritto da: Zaira Magliozzi
Günter Zamp Kelp - Ci sono parecchi insegnamenti. Il nostro Mindexpandingprogram, per esempio, sembra essere un’anticipazione dei prossimi strumenti dell’intelligenza artificiale di supporto alla mente umana.
Scritto da: Marco Del Francia
In una intervista del 2005, rispondendo a una domanda sul perché in Italia avesse fatto fatica a trovare una affermazione critica, Vittorio Giorgini, dopo aver svolto una lucida analisi della situazione italiana, chiuse dicendo:
“Credo che un diverso approccio della critica, all’epoca avrebbe potuto far veicolare diversamente il mio lavoro. Forse mi è mancato uno Zevi che credesse in me”.
Stranamente, in un momento in cui Firenze si posizionava in Italia come un centro fervido e culturalmente riconosciuto, nonché ambìto da molti studenti e docenti, e in cui tanti architetti (alcuni senza averne le doti) emergevano pubblicando i propri lavori sulle riviste di settore, Giorgini - che nel capoluogo toscano si era formato e nel quale negli anni ’60 aveva aperto un proficuo studio professionale (collaborando, fra gli altri, con Ludovico Quaroni, Edoardo Detti e Leonardo Savioli) - viene bypassato dalla critica ufficiale e i suoi lavori più arditi, come Casa Saldarini (1962), vengono visti come frutto di un divertissement isolato.
Scritto da: Alessandro Melis
Le città italiane mostrano oggi i segni ambientali del fallimento che è il frutto di un patto scellerato tra i fautori del Moderno delle periferie e i sostenitori del Postmoderno storicista nei centri storici. Quando si leggono gli scritti di Bruno Zevi, si ha tuttavia la sensazione che una via alternativa sia possibile.
Zevi non fu l’unico a ipotizzare che una visione meno dogmatica e più organica dell’architettura avrebbe potuto contribuire alla costruzione di una città in cui tecnologia e natura avrebbero potuto convivere. L’esclusione a priori di questa ipotesi ha radici lontane ed ha a che fare con il consolidarsi di un modello speculativo dei lavori pubblici e privati, da una parte, con il protezionismo intellettuale esercitato dalle università, dall’altra. Infatti all’inizio degli anni ’60, rispondendo alle tendenze del dopoguerra, in molti presero posizione riguardo alla presunta sterilità del Moderno. Fino a quel momento gli eredi della Tendenza da una parte e i Radical dall’altra convissero sotto l’ombrello del Postmodernismo. Ma già nel decennio sucessivo la critica al Moderno si cristallizzò su posizioni apparentemente opposte ed inconciliabili.