di Giovanni Tortelli, Roberto Frassoni
GTRF Architetti Associati
Solo da pochi anni si assiste a un rinnovato interesse dell’Architettura nei confronti dell’Archeologia, un tema per il quale i grandi maestri del ‘900 ci avevano lasciato la consapevolezza dei limiti dell’architettura a “rappresentare un’assenza”, ed è da questi presupposti, qui in Italia, che si gettano le basi per un serio confronto tra archeologi e architetti, per una progettazione consapevole, con l’obiettivo di realizzare, come frutto del confronto, architetture che conservano ma anche, e soprattutto, “rivelano”. Valorizzare i resti archeologici significa quindi cucire e riannodare relazioni perdute e solitamente “nascoste”, renderle esplicite attraverso un linguaggio riconoscibile nella contemporaneità, realizzando architetture capaci di ricomporre ed evocare le parti mancanti di un frammento.
Il progetto dell’architetto, di fronte al rudere, deve evocare qualcosa che non c’è più, ma che ci appartiene e che ci è necessario, recuperare il rapporto tra le tracce della nostra storia e il nostro futuro. L’attività professionale del nostro studio in più occasioni ha affrontato situazioni in cui la conservazione di resti della città antica è diventato lo strumento con il quale progettare la contemporaneità: a Cremona, Vicenza, Ravenna, Mantova, Roma e ora a Gerusalemme, dove le strutture pluristratificate della città millenaria ci riservano ogni giorno sorprese straordinarie. Fra tutti, due progetti hanno segnato il nostro modo di considerare l’archeologia: l’intervento per la musealizzazione delle domus dell’Ortaglia a Brescia e il progetto per l’Aula di Cromazio e le piazze della Basilica ad Aquileia. Due situazioni che, seppur molto diverse, ci hanno educati a non desistere dal prestare costante attenzione agli aspetti conservativi e alla valorizzazione del contesto storico e ambientale, senza rinunciare a soluzioni architettoniche convincenti per la realtà a noi contemporanea.
Domus dell’Ortaglia, Brescia, 2003
La progettazione e la realizzazione del museo di Santa Giulia a Brescia è stata, per noi, la prima importante occasione per riflettere su come intervenire per il recupero museale di architetture e tracce monumentali, di aree archeologiche presenti in gran numero nel tessuto pluristratificato del centro storico, ma anche sul ruolo e sul contributo che l’architettura contemporanea può dare alla comprensione e alla rappresentazione del continuo divenire delle città.
Il progetto per la copertura e la musealizzazione delle domus dell’Ortaglia venne chiesto dall’Amministrazione Comunale e dalla Fondazione CAB quale incremento del percorso museale già aperto al pubblico nell’ex complesso monastico benedettino. Le prime indagini archeologiche eseguite negli anni Sessanta del secolo scorso avevano restituito alcuni vani residenziali per circa 400 mq, con un apprezzabile apparato decorativo. Altri vani, scavati solo parzialmente, erano stati reinterrati. Dopo oltre trent’anni era concreto il rischio di compromettere in modo irreparabile i resti archeologici rinvenuti e, avendo deciso di intervenire, per prima cosa si ritenne opportuno estendere lo scavo archeologico in modo da poter individuare l’originale e particolare estensione dell’area sulla quale erano documentate le domus.
L’area messa in luce ha infatti restituito oltre quaranta vani residenziali appartenenti a due domus affiancate, che delimitavano un intero isolato urbano. Seguendo il lavoro di scavo stratigrafico degli ambienti, studiando insieme agli archeologi le dimensioni, le caratteristiche e la consistenza delle strutture murarie emerse, abbiamo gradualmente individuato i confini dell’intervento del nostro progetto e formulato le prime ipotesi volumetriche e funzionali della struttura da realizzare a protezione.
La comprensione, la conoscenza dettagliata e il controllo degli aspetti distributivi e tipologici delle domus hanno contribuito a definire, mentre lo scavo proseguiva, l’idea di un percorso di visita in grado di facilitare la visione delle decorazioni rinvenute (pavimenti musivi e affreschi parietali) avvicinando il più possibile il visitatore a quelle superfici. In questo modo sarebbero stati anche più facilmente leggibili l’impianto planimetrico generale, la successione dei vani e le loro relazioni architettoniche e funzionali, insieme alla stratificazione che aveva modificato il tessuto urbano nei secoli. I resti delle case avrebbero così potuto essere visibili come parti di un processo di tutela e di conoscenza “in divenire”, assieme al loro scavo e al loro restauro.
Gli aspetti tecnici erano ben definiti: collegare il sito archeologico al Museo di Santa Giulia già realizzato, proteggere i reperti dagli agenti atmosferici, garantirne le ottimali condizioni conservative e agevolarne una adeguata fruizione da parte del pubblico. L’entità e l’importanza delle testimonianze archeologiche, la loro ubicazione e il rapporto con un contesto molto caratterizzato hanno condizionato da subito le scelte progettuali, ponendo l’identità tra spazio e luogo, tra architettura e città come dato di partenza da rispettare. Il progetto ha quindi in primo luogo pensato un nuovo volume a protezione dei resti romani, da edificare a ridosso del colle Cidneo e delle strutture monastiche antiche; per garantire la continuità con il Museo si è quindi scelto di “portare” all’esterno, amplificandoli, i caratteri linguistici che avevano caratterizzato l’allestimento museale del polo di Santa Giulia. Una scelta quindi determinata da un’attenta meditazione sul significato del recupero di una porzione della città antica proprio nel luogo stesso in cui la città contemporanea, con la realizzazione del Museo, ha scelto come leggere e di ricordare, oggi, la sua storia.
Il nuovo edificio, dalla geometria essenziale, è in pietra arenaria grigia, la stessa pietra di cui sono lastricate le strade e i cortili dei palazzi sorti sui resti della città romana, con un’ossatura strutturale e una foderatura interna in acciaio. Questi due elementi materici forti (la pietra e il ferro), diversamente impiegati all’interno e all’esterno, legano inequivocabilmente il progetto all’immagine e al carattere del Museo che esce dagli spazi monastici di Santa Giulia e si pone direttamente a confronto con la città. L’interno è fortemente caratterizzato dall’uniformità materica e cromatica di pareti e soffitti, che annulla la percezione geometrica dello spazio e favorisce il concentrarsi dell’attenzione sui resti archeologici grazie anche alla passerella in acciaio e pietra, a sbalzo sui vani mosaicati, che consente al pubblico di attraversare le stanze variamente decorate e riconoscerne le originarie funzioni. La soluzione trovata per la copertura piana, foderata con tappeto erboso, quasi a ricordare un terrazzo o un bastione del colle, è in linea con l’obiettivo generale del progetto: la superficie è segnata da lastre di pietra grigia che ricalcano, in scala al vero, la pianta del sito archeologico e ne consentono la riconoscibilità dalle viste aeree.
Aula di Cromazio e piazze della Basilica,
Aquileia (UD), 2013
Spogliata nel corso del medioevo di tutte le emergenze monumentali della romanità, Aquileia, tra le più importanti città dell’Impero romano con all’epoca oltre duecentomila abitanti, ne conta oggi solo poco più di tremila.
Solo la grande basilica paleocristiana del 313, ricostruita nel V secolo e in gran parte rimaneggiata nell’XI dal patriarca Poppone, ha saputo resistere a un declino pressoché totale. Nonostante la memoria storica e le consistenti tracce di antichità affioranti, gli interessi archeologici e scientifici maturarono solo alla fine del XIX secolo quando venne istituito il Museo di Antichità. Successivamente, grazie alle imponenti campagne di scavo eseguite dagli studiosi austriaci (Aquileia rimase in territorio austroungarico fino al 1918) Lanckoronsky e Nieman, vennero portati alla luce i pavimenti del IV e V secolo all’interno e all’esterno della Basilica, i più estesi piani musivi protocristiani che oggi conosciamo. Il Governo italiano affidò poi a Guido Cirilli e Ugo Oietti il progetto di copertura dei mosaici dell’aula teodoriana nord della Basilica e la sistemazione dell’adiacente Cimitero degli Eroi. Il piazzale antistante a questo nucleo monumentale, impiegato principalmente per cerimonie militari, rimase incompiuto e venne adattato a parcheggio di torpedoni, semplicemente coronato da un filare continuo di cipressi. Se da allora gli studi archeologici sono molto progrediti fino a restituire quasi integralmente la pianta della città romana, poco si fece, e con modesti risultati, per la sistemazione o la musealizzazione dei resti archeologici progressivamente portati in luce, né venne affrontato in modo efficace e consapevole il tema della convivenza della città antica con la vita contemporanea, con il risultato che molti aquileiesi vennero indotti nel tempo a considerare l’archeologia quasi una maledizione, o nel migliore dei casi, un disturbo con il quale era necessario confrontarsi ogni giorno.
È solo con il Concorso Internazionale bandito nel 2004 che il tema acquista la rilevanza necessaria, ponendo la questione della sistemazione delle piazze antistanti alla basilica e della musealizzazione dei mosaici adiacenti il Battistero (Aula di Cromazio o Süd Halle), chiedendo di recuperare il rapporto di confidenza e di conoscenza con il luogo, oltre che di rimediare ai precedenti e poco felici tentativi di pavimentare il suolo. Il nostro progetto, risultato vincitore, coniuga la tutela delle emergenze monumentali e la loro immagine consolidata con un uso compatibile degli spazi pubblici circostanti e propone una musealizzazione aggiornata dei resti di scavo più significativi.
Dall’analisi degli studi archeologici si è dedotta l’orditura della città antica, scegliendo poi di riproporla in superficie con semplificazioni geometriche e sintesi diacronica, quale elemento che consentisse di connettere l’eterogeneità degli spazi contemporanei, riconoscendone così anche la pertinenza e le relazioni tra i frammenti delle importanti architetture antiche ancora presenti. Lastre di vario calibro, spuntate e sbozzate, in pietra di Muggia e di Aurisina, disegnano quindi il piano pavimentale di piazza Capitolo, restituendo la pianta del quadriportico post-teodoriano, perfettamente documentato dalle indagini condotte in varie fasi di scavo. Piazza dei Patriarchi recupera invece con gli stessi materiali lapidei, e soprattutto con il verde, il disegno dei monumentali Horrea pre-costantiniani, che per secoli hanno affiancato l’impianto basilicale fino a essere confusi con un immaginario palazzo patriarcale, poi completamente smantellati nel ’700 dal governo austriaco per recuperarli come materiale da costruzione.
Più problematico è stato il tema della protezione e della fruizione dei mosaici a fianco del battistero, soprattutto per la loro vicinanza al complesso monumentale della basilica (un’immagine fortemente consolidata) e per l’eccezionalità delle testimonianze musive rinvenute, tra le quali il famoso pavone riportato alla luce in scavi recenti. Qui, in questo luogo più che in altri, dove il rapporto tra contesto e archeologia aveva sempre denunciato posizioni inconciliabili, la soluzione da noi proposta è stata la prima significativa occasione di confronto tra diversi orientamenti metodologici e progettuali relativi alla valorizzazione dei resti antichi. Per questo qui abbiamo potuto utilizzare il ruolo di mediazione dell’architettura contemporanea: attraverso un nuovo volume (unica efficace protezione del sito) è stato infatti possibile conservare e rendere fruibili gli importanti resti musivi del IV secolo commissionati dal vescovo Cromazio. All’esterno in modo discreto, l’essenziale parallelepipedo, realizzato con i materiali di recupero dal livellamento del terreno (frammenti di mattoni e di pietra arenaria derivanti dalla demolizione degli Horrea, altrimenti destinati alle discariche), asseconda la vocazione millenaria di Aquileia e rinnova la sua immagine. All’interno in modo più marcato, impiegando materiali “forti” come la pietra e l’acciaio verniciato a polveri (uniformemente impiegato per pareti e soffitto in modo da annullare la percezione geometrica dello spazio) abbiamo favorito il focalizzarsi dell’attenzione sui resti musivi in situ, valorizzandoli al massimo agli occhi del visitatore.
L’accesso all’Aula cromaziana avviene dal Battistero, attraverso la riapertura di una porta altomedievale, murata nell’Ottocento; oltre la porta, da una grande piastra soprelevata, in acciaio e pietra arenaria posata a spacco, il pubblico può affacciarsi ai resti musivi e dominare tutta l’Aula e il suo prezioso pavimento. Altre due piastre analoghe, realizzate sulle lacune più ampie del piano pavimentale, accolgono materiali archeologici coerenti, recuperati dagli spazi esterni. Una grande vetrata consente infine di relazionare l’interno dell’aula con il contesto del complesso basilicale adiacente e, dall’esterno, di affacciarsi sui resti musivi, godendone la vista anche nelle ore serali.
Tutte le immagini fornite da GTRF Giovanni Tortelli
Roberto Frassoni Architetti Associati