di Daniele Manacorda
Ordinario di Metodologie della Ricerca Archeologica
presso l’Università Roma Tre
Ci sono due modi di guardare i siti archeologici: uno diacronico, che li scruta nelle loro evoluzioni, fatte di cambiamenti e persistenze, e uno sincronico, che ne individua una fase, nella sua totalità quando possibile, e ne mette in luce modi di uso e funzioni. La prima privilegia la storia, cioè il tempo, la seconda l’antropologia, cioè l’organizzazione della vita umana. Noi abbiamo bisogno di entrambe le ottiche, che non sono in conflitto, anche se ciascuna di loro ha bisogno delle sue procedure.
La ricerca archeologica in città è stata accompagnata nei secoli da queste diverse pulsioni e qualche volta si è fatta strumento delle più varie aspirazioni: il risultato è stata una continua trasformazione della forma urbana prodotta da una miriade di interventi di diversa scala, che hanno aperto scenari complicati - per non dire imbarazzanti - dove gli antiquari o gli archeologi di turno hanno svolto alternatamente la parte dei carnefici e quella delle vittime.
Anche oggi, se gli archeologi possono presentarsi alla ribalta dei paesaggi urbani con le carte a posto per quanto riguarda i metodi dell’indagine e la capacità di produrre conoscenze comprensibili e condivisibili, non per questo gli esiti delle modalità di conoscenza archeologica delle città si presentano serenamente sui loro diversi palcoscenici. Se oggi siamo in grado di rispondere con pertinenza, in termini sia di metodi sia di strategie, alle domande relative alla conduzione degli scavi, non per questo sono a disposizione risposte univoche e condivise circa il perché degli interventi archeologici in città e le motivazioni che li muovono e li legittimano. Resta sempre aperta la domanda circa l’apporto positivo o negativo, e comunque conflittuale, che essi danno alla città moderna e, innanzitutto, alla sua forma, intesa come strumento di qualità della vita.
di Virginia Rossini
La gestione del patrimonio ruota intorno a tre aspetti distinti, tra loro strettamente collegati: tutela, conservazione e valorizzazione. Secondo il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, la tutela garantisce la protezione e la conservazione dei beni, con il fine della pubblica fruizione; la conservazione attua lo studio, la prevenzione, la manutenzione e il restauro dei beni; la valorizzazione promuove il patrimonio culturale, basandosi sulla sua conoscenza, con l’intento di una sua migliore fruibilità. I tre aspetti sono strettamente connessi tra loro e andrebbero auspicabilmente considerati in chiave sistemica per raggiungere, presumibilmente, i migliori risultati: la tutela del patrimonio si attua attraverso la sua conservazione, mentre la relativa valorizzazione, promuovendone la fruizione presso un pubblico attento, potrebbe desumere quell’indotto economico, utile al relativo reinvestimento per la manutenzione dei beni stessi. Tale visione sistemica di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio presupporrebbe un tipo di gestione basata su di una politica economica e sociale capace di investire fondi, aggiornare gli strumenti legislativi e riformare la macchina amministrativa.