Il 13 agosto di quest’anno, secondo il Global Footprint Network si è verificato l’overshot day, cioè il giorno nel quale la popolazione mondiale ha consumato per intero tutto il cibo disponibile per il 2015. Rispetto all’anno scorso, l’evento è stato anticipato di una settimana, mentre 15 anni fa si verificava agli inizi di ottobre. Rispetto all’inizio degli anni ’70, quando esisteva un sostanziale equilibrio tra il consumo delle risorse e la capacità di produzione, avremmo bisogno di una Terra grande almeno il 60% in più.
L’effetto di questo ipersfruttamento ecologico è ampiamente evidente: deforestazione, siccità e scarsità di acqua dolce, erosione del suolo, perdita di biodiversità e, infine, aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera.
L’anno in corso potrà essere ricordato, forse, come il punto di svolta sul tema della sopravvivenza delle specie viventi. Possiamo registrare, infatti, due eventi di significato e portata diversa ma in un certo senso complementari, che mostrano una profonda discontinuità nel consumo “spensierato” delle risorse naturali. Il primo è l’emanazione dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato Si’”, che tratta in modo ampio e articolato il tema della sostenibilità - se vogliamo semplificare - dal punto di vista della Chiesa Cattolica. Il secondo è l’annuncio di Barack Obama dell’adozione di un piano per le energie pulite (Clean Power Plan) che ha l’obiettivo di ridurre le emissioni del settore energetico del 32% entro il 2030, con un miglioramento del 9% rispetto alle precedenti decisioni. Di conseguenza, gli Usa adotteranno politiche industriali ed energetiche volte a ridurre l’uso dei combustibili fossili, a favore delle energie rinnovabili. Inoltre, il 17-18 agosto si è svolto un incontro tra i rappresentanti del mondo islamico, che si è concluso con la pubblicazione della “Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico” nella quale si propongono una serie di obiettivi pragmatici per conservare il nostro ecosistema.
Questi eventi sono avvenuti a qualche mese dalla conferenza “COP 21”, che si terrà a Parigi a partire dal 30 novembre. Per aspetti diversi, sia l’enciclica del Papa (e il richiamo dei credenti islamici), sia il piano di Obama hanno provocato ampie discussioni. L’enciclica di Papa Francesco articola concetti di straordinario rilievo per il futuro dell’umanità e della Terra, già espressi da Paolo VI
e da Giovanni Paolo II, che coinvolgono la dignità e la libertà della persona, con l’effetto che ogni programma, intervento e azione umana deve essere ispirato ad elevare eticamente la qualità della vita dell’uomo e di tutte le specie viventi, riducendo drasticamente gli impatti sull’ecosistema e sulla vita umana. Obama ha anticipato il piano che verrà presentato nella sua interezza al “COP 21” di Parigi e che è la parte più rilevante di un programma presidenziale che prevede, tra l’altro, un colloquio con Papa Francesco sul tema dell’ambiente, con l’obiettivo comune di indirizzare le scelte per le generazioni future.
Da queste considerazioni nasce l’idea di intervistare alcuni testimoni privilegiati di questo cambiamento, invitati a rispondere ad una serie di domande che possono diventare la traccia per un ragionamento sulla costruzione di una sostenibilità per il futuro: Sua Eminenza il Cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, Capo del Coordinamento per la Riforma della Chiesa su indirizzo di Sua Santità Papa Francesco, Pier Luigi Luisi, chimico e autore, con Fritjof Capra, del libro “Vita e Natura”, Massimo Pica Ciamarra, architetto e fondatore dello studio Pica Ciamarra Associati, e Paolo Rotelli, ingegnere esperto in tecnologie per le energie rinnovabili e il risparmio energetico e membro della Green Economy Task Force di Parigi.
L’enciclica di Papa Francesco può rappresentare concretamente uno stimolo a considerare il tema della sostenibilità ambientale, economica e sociale come una componente essenziale di una missione di ordine superiore, assegnata alla specie umana, di tutelare l’esistenza del nostro pianeta?
Sua Eminenza Cardinale Oscar Maradiaga: Mi sembra che l’Encliclica Laudato Si’ sia un imperativo che invita a preservare la “casa” di tutti. Papa Francesco ci incita a un cambio di rotta, prima che il pianeta sia irrimediabilmente danneggiato, ma il pensiero del Papa è lontano dal mero ecologismo: è una chiamata urgente alla salvaguardia del Creato. Non si tratta di una sfida per il domani, ma per il presente. Ed è un compito per tutti.
Pier Luigi Luisi: La risposta è, ovviamente, positiva. Gli scienziati responsabili hanno indicato da anni questi problemi ecologici, ma il messaggio del Papa che si evince dall’enciclica è quello del buon senso, e raggiunge la mente e il cuore di molte più persone: non si può avere una crescita quantitativa illimitata in un pianeta finito. Infatti il Papa scrive: “Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richieda di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare.”
Massimo Pica Ciamarra: Natura non facit saltus: non così l’evoluzione culturale, che ha punti di svolta, veri e propri “passaggi di stato”. Oltre che a grandi fenomeni, queste mutazioni sono soprattutto dovute a nuove conoscenze ed a prese di coscienza che esaltano la capacità di comprendere come opporsi al degrado. Quindi l’enciclica è certamente una svolta. Al di là dello straordinario autoregolarsi della natura, logica e spiritualità alimentano l’intelligenza collettiva: possono mettere in campo risorse sorprendenti, vere e proprie “zattere di salvataggio”.
Paolo Rotelli: L’enciclica di Papa Francesco è la summa della Chiesa sulla salvaguardia del Creato. È evidente la radice francescana anche nell’uso come incipit ufficiale di un verso del celebre “Cantico delle Creature” e, nonostante sia un vero e proprio documento dottrinario, si può parlare di una enciclica pastorale. Essa si muove su un piano etico e non bisogna attendersi prese di posizione su questa o quella dottrina scientifica; forti però sono le posizioni enunciate sulla necessità della custodia ambientale e la lotta alla cultura dello “scarto”. Questi temi universali e la loro forte enunciazione sono certamente stimolo anche per i non cattolici.
Il Piano annunciato da Obama è sicuramente una svolta sull’approccio degli Stati Uniti in merito all’impatto che le politiche industriali ed energetiche rappresentano in campo internazionale. Quali possono essere gli effetti, in ambito europeo e più specificatamente italiano, di una leadership americana sul tema ambientale?
O.M.: Quando fui Presidente della Caritas Internationalis, ebbi occasione di seguire da vicino alcuni dei vertici sul clima. Ricordo il fallimento di Copenaghen, e lo stesso risultato a Durban. Se gli Stati Uniti D’America e la Cina non si metteranno d’accordo nell’assumere un serio impegno per ridurre l’inquinamento, il vertice di Parigi potrà essere un ulteriore fallimento. Guardo quindi con speranza al piano del Presidente Obama, che può mettere in moto un cambiamento sostanziale nella politica industriale ed energetica europea.
P.L.L.: Non so quanto credere ad una leadership americana. Le maggiori società mondiali del petrolio risiedono finanziariamente negli Stati Uniti, e tali società influenzano pesantemente la politica. Ma Obama fa bene a portare avanti il suo discorso, speriamo che il senato repubblicano lo segua. E l’Italia deve muoversi per conto proprio, non c’è bisogno di maestri internazionali per cambiare il tipo di discorso energetico qui da noi.
M.P.C.: Nel mondo concorrenziale le autolimitazioni presuppongono accordi fra tutti; nell’era della globalizzazione tutto è sempre più interconnesso. Non credo quindi nella leadership di un solo paese, occorre almeno un primo nucleo significativo di nazioni. È l’insieme dei paesi predominanti - perché più degli altri impropriamente consuma ed accelera l’esaurirsi delle risorse della Terra - che può trascinare tutti nella ricerca e nella condivisione di nuovi modelli di sviluppo.
P.R: Il piano annunciato da Obama darà certamente nuova forza al movimento ambientalista internazionale ed è un passo avanti dopo il rifiuto posto per anni alla firma del Protocollo di Kyoto. Credo però che in ambito europeo, e più specificamente italiano, abbia maggiore possibilità di leadership il piano presentato dal ministro francese Ségolène Royal con il titolo: “Transizione Energetica e crescita rinnovabile” pubblicato il 27 giugno 2014 ed in fase di adozione in Francia, per l’idea di concretezza che trasmette, basato come è su dati e constatazioni di fatto.
Quale pensa possa essere un risultato rilevante che la conferenza COP 21 può e deve ottenere, considerando che si tratta di un summit di Paesi che hanno profili politici, sociali ed economici profondamente diversi? Cosa ritiene sia utile mettere in evidenza, nel prossimo Summit di Parigi?
O.M.: Come dice il Santo Padre, non si possono mascherare i danni causati all’ambiente con discorsi e buoni propositi. I Paesi industrializzati hanno contratto debiti ecologici incalcolabili dovuti allo sfruttamento smisurato delle risorse naturali nei Paesi in via di sviluppo. La crescita sostenibile richiede reali politiche che vadano al di là degli interessi di una legislatura e che rispettino gli accordi internazionali. In occasione del vertice di Parigi dovremo tutti assumere il ruolo di tutori delle opere di Dio.
P.L.L: È un discorso troppo complesso. Intanto, come affermano alcuni scienziati, può essere già troppo tardi. Credo in genere che questo neo-capitalismo, basato sulla crescita quantitativa ad ogni costo, sarà duro a morire. E tra i fattori determinanti di questo sistema io e Capra annoveriamo nel nostro libro istituti di dimensioni internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, World Trade Organization e la Banca Mondiale, con la domanda fondamentale, se i loro princìpi siano in sintonia con i princìpi di dignità e di crescita qualitativa dell’uomo.
M.P.C.: Non vedo diversità che possano ostacolare l’accordo sulla priorità di appropriati processi educativi all’ecologia e alla qualità degli ambienti di vita. Deve esserci un impegno per un’azione globale che diffonda le nuove acquisizioni culturali e avvii l’indispensabile transizione dalla cultura della separazione a quella dell’integrazione; da trasformazioni puntuali a reti logiche. Ci si avvarrà di strumenti e di tecnologie sempre nuovi, ma oggi nella sostanza si tratta di assumere impegni comuni per azioni di carattere culturale per far sì che, dopo vent’anni di mediazioni ONU, queste effettivamente si diffondano sulla base di accordi vincolanti per tutti. Le nazioni più forti devono ora materializzare l’impegno di sostenere quelle più deboli.
P.R: La disomogeneità economica e politica dei paesi partecipanti a conferenze come COP 21 spesso impedisce di raggiungere risultati cogenti significativi ed immediati. Hanno invece grande rilevanza per la mobilitazione e l’attenzione che suscitano nella pubblica opinione mondiale sui temi del rispetto dell’ambiente e sullo stato del pianeta. Consentono inoltre di fare un esame attento dello stato dell’arte dell’attuazione del protocollo di Kyoto e della Green Economy Road Map da parte di tutti i paesi partecipanti.
Cosa pensa sia necessario fare e sia di maggiore utilità, nel prossimo futuro, per contrastare i fenomeni derivanti dal degrado ambientale (inondazioni, frane, siccità, desertificazione, ecc.) e quali, a suo avviso, possono essere le misure condivise da includere nelle politiche ambientali dei Paesi europei ed extraeuropei?
O.M.: Credo che la miglior risposta sia il paragrafo 111 della Enciclica Laudato Si’: “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico.”
P.L.L.: I problemi sono noti, e le soluzioni possibili anche. Quello che serve è una nuova classe di politici, locali e nazionali, con un nuovo e diverso sentore per i problemi ecologici, che si dedichino anima e corpo a questi problemi più che alle beghe di partito.
M.P.C.: La condizione umana migliorerà solo quando ogni trasformazione degli ambienti di vita sarà concepita come un “frammento” che è parte dell’ambiente nella sua accezione più ampia e quando le valutazioni economiche non prescinderanno più da valutazioni ambientali e dal benessere degli abitanti. In altre parole, verrà un giorno in cui le logiche di immersione nei contesti (fisici, spaziali, a-spaziali) prevarranno su ogni altra logica. Per questo, più che politiche ambientali occorrono politiche culturali che non temano visioni utopiche. Occorre educare, perché solo una cultura diffusa può far sì che tutto ciò sia prassi prima che norma.
P.R: È necessario che i Paesi più esposti ai fenomeni derivanti dal degrado ambientale si impongano politiche di risanamento che siano parte integrante dei propri piani di sviluppo. In Italia, per esempio, il programma “Italia Sicura” può rappresentare un vero punto di partenza per affrontare con serietà, anche a livello governativo, una nuova politica ambientale. Solo l’inclusione di tali progetti nei bilanci di gestione dei governi alla guida dei Paesi interessati può fornire una qualche garanzia sulla loro attuazione.
di Patrizia Colletta