Il contributo dei due architetti, sotto il titolo “Embracing the existence”, ha offerto l’occasione unica di confronto tra Ito, precursore della preservazione e del recupero dell’architettura moderna giapponese, e Kuma, uno dei protagonisti dell’architettura a livello mondiale, che sin dai suoi primi lavori ha intessuto un dialogo irrinunciabile con il contesto che le sue architetture, inevitabilmente, avrebbero alterato. La volontà di Kuma, all’inizio della sua carriera, di “cancellare l’architettura” per realizzare al posto dell’edificio un fenomeno come quello dell’arcobaleno - leggere particelle che fluttuano nell’aria tagliando, sminuzzando i materiali più diversi al fine di negare il volume - è ancora lì. E questa visione è nutrita dalla consapevolezza che oggi all’architettura si riconosce un ruolo fondamentale nella protezione, del territorio e degli abitanti, dagli eventi anche disastrosi che possono ferire la terra. Il forte cambiamento che i fatti degli ultimi anni - economici e naturali, crisi e tsumami - hanno prodotto nella società giapponese, caricano sulle spalle degli architetti una seria responsabilità. In Giappone non è più l’epoca dei grandi progetti, dei gesti sproporzionati; anche le più innovative ricerche nelle università e in molti studi professionali si rivolgono ai temi legati alla messa in sicurezza del territorio, e alla prevenzione e ricostruzione dopo eventi catastrofici. Alla noiosa architettura del “copia e incolla”, causa dei tempi soffocati imposti dall’industria delle costruzioni, Kuma affianca un’architettura che spesso si rivolge, o si rifugia, ad una scala più piccola, per rinnovarsi, per concedersi tempo e per sfuggire all’obbligo di sbalordire, che poco ha a che vedere con il rispetto e la cura del luogo. Ito, a sua volta, mostra le distruzioni del maremoto del 2011 e conclude l’intervento citando il libro “Small is Beautiful” dell’economista inglese E. F. Schumacher.
In una video intervista - laterale all’evento e realizzata dal Centro di Documentazione Multimediale e di Videocomunicazione dell’OAR - chiedo a Kuma di condividere con gli iscritti dell’OAR un’immagine di Roma. Ricordando il tema del workshop egli risponde: «Le Mura Aureliane rappresentano uno dei migliori esempi della stratificazione della storia; non sono un’architettura ma una sorta d’infrastruttura che partecipa alla vita della città. Nel secolo scorso si costruivano grandi infrastrutture considerando solo l’aspetto funzionale ma nel XXI secolo dovremmo chiederci quale sarà il ruolo delle infrastrutture per la società. Penso che la combinazione tra vita e infrastrutture sia uno dei maggiori temi dei nostri tempi».
Leone Spita